Finalmente, dopo aver zigzagato per campi di polenta e angurie, tra cascine dai nomi affascinanti per la loro voglia di comunicare e ricordare (Cascina Cantalarana, Cascina Acqua Morta, Cascina Curteliie…),  apparve, improvvisa, la riva del fiume;

come tutte le cose importanti, veramente importanti, il grande fiume si era fatto desiderare, attendere, non è come arrivare in riva ad un torrente, che lo vedi e lo capisci e digerisci nello stesso istante che lo vedi. Ancora fino all’ultimo, lo intravvedi appena, attraverso i cespugli sulla riva, tra un tronco e l’altro, dalla strada arginale, sopraelevata, che scende a tratti fino all’acqua, me ne rimane rispettosamente lontana. 
La signorina Ester Bolenghin scese dall’auto, con tutta la sua mole, e fu investita dall’odore dell’acqua, dolce, erboso, e le tornò alla mente una vita, un mondo lungo un’estate, vissuto e abbandonato quarant’anni prima. Scese le scalette, prima di  di cemento, poi pensili, di ferro, fino al pontile galleggiante, dove erano ancora ormeggiate le barche della “Canottieri Contro” (corrente).

 

Da lì, ottanta chili prima, si tuffava per nuotare vorticosamente controcorrente, a gara con gli altri cuginetti. Adesso , sul tronco di un albero, l’ordinanza del sindaco vieta la balneazione, “ a tutela della pubblica salute e incolumità”. Già. Ovviamente. Girò su se stessa lentamente, per assorbire con lo sguardo le rive, la corrente placida, le piante sull’acqua da cui uscivano le folaghe e gli anatroccoli, una rete a paranza appesa poco a monte. Il sole era caldo, ma l’aria sulla riva rendeva piacevole soffermarsi, in silenzio,  a osservare.


E decise che, sì, a volte anche la pianura può essere bella, quasi quanto le crode che si vedono da Pian dei Rovi.


Fu un pranzo strano, erano seduti all’ombra, al tavolo di una trattoria tappezzata di foto del gestore mentre scende il fiume, in vari tratti, ad esempio Stagno Lombardo – Viadana in sei ore e cinquanasei minuti, cinquantatre chilometri. Cinquantatre chilometri? La corrente! Le pietanze si susseguivano come in sogno, il marito della signorina Ester Bolenghin si accorse di essere solo, ma capì, fece finta di niente e si concentrò sui pescetti fritti e sul culatello. Lei, Ester, era a tavola col nonno, che le suggeriva come mangiare le rane fritte, il pesce gatto, l’anguilla in carpione, si mangia tutto, attenta alle “resche”, io ne mangio più di te! L’anguria rossa spense la sete e i ricordi.

“…  Una volta, per esempio, una razza di superintelligenti e pandimensionali costruirono un computer gigantesco, chiamato Pensiero Profondo, assegnandogli il compito di calcolare la Risposta alla Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto.


Per sette milioni e mezzo di anni Pensiero Profondo  calcolò e computò, e alla fine annunciò che la risposta era ‘Quarantadue’, per cui si dovette costruire un altro computer ancora più grande per scoprire quale fosse la Domanda. Tale computer, che fu chiamato Terra, era talmente immenso che spesso veniva scambiato per un pianeta, soprattutto dagli strani indigeni simili a scimmie che popolavano la sua superficie, e che erano del tutto ignari di essere semplicemente parte di un programma ben definito.


Certo questo è strano, perché non disponendo di quell’ informazione del resto abbastanza banale e ovvia, era impensabile di sognare di poter dare un minimo senso a quello che succedeva ed era successo sulla terra.


In  ogni modo, proprio un attimo prima che fosse resa nota la Domanda, (mentre la casa del protagonista viene rasa al suolo da uno stuolo di scavatrici gialle, per far posto ad un’autostrada)  la Terra venne inspettatamente demolita dai Vogon ( razza di feroci operai distruttori di pianeti con astronavi gialle ), che intendevano far posto alla costruzione di uno svincolo di una superstrada iperspaziale, quindi la speranza di scoprire  il significato della vita si perse per sempre…… “


 


Da : ‘Guida intergalattica per autostoppisti’ by Douglas Adams (The HitchHiker’s Guide to Galaxy -1979), trilogia in quattro parti, dove si legge, tra l’altro, per la prima volta, del pesciolino traduttore BabelFish, introdotto nell’orecchio del protagonista, perché potesse comprendere tutte le lingue dell’Universo…

Mattina presto. Grosse goccie di rugiada intralciano il cammino. Non pericolosissime, ma fastidiose; se si forza la tensione superficiale, si può rompere la membrana, urtandole, e allora ti possono annacquare ben bene:sprut sprut! fermi al sole, ad aspettare che tutta la chitina si asciughi.
‘HCOOH-3C’ , formica operaia di terza classe, si prepara, con le colleghe, al viaggio quotidiano verso gli allevamenti di afidi, lassù, verso la cima degli steli di rosa, proprio sotto il bocciolo. Guarda in alto: l’aria è pesante, oggi pioverà.
E’ un lavoro abbastanza faticoso, si tratta di salire un immenso muro intonacato, arrampicarsi fino in cima, con un afide verde tra le tenaglie, dopo aver superato una corta parete di liscia plastica verde, scendendo verso un fossato da attraversare (oggi asciutto, fortunatamente), e poi su, per una parete di terracotta, più ruvida e accessibile, ma dalla pendenza negativa, undicesimo ++ , oltre la quale si dipartono, dal pianoro umido, i tronchi e i rami della pianta di rose. Spesso il fossato è pieno d’acqua, e allora si deve tornare al formicaio, o attendere nei paraggi. L’afide verde di solito non pesa molto, ma si muove, e bisogna fare presto, altrimenti comincia a essudare la manna appiccicaticcia, che ti blocca  a metà. Una volta piazzato l’afide, si fa un po’ di mungitura sui vecchi afidi, si raccoglie il muco dolciastro in grosse palle bianchicce, che si infilzano sulle tenaglie, e si inizia il viaggio di ritorno, fino a casa. Due viaggi al giorno; per mesi, anni, anche dieci, quindici, prima che arrivi il grande sonno, giù al reparto rottamazione, dove le compagne operaie di  quarta classe spiano la morte, affilando le loro sciabolette, scegliendo con occhio esperto da dove iniziare a smontare la corazza di cheratina, spesso ancora prima che tutto il carapace sia immobile.
Il lavoro sembra facile. Autostrade feromoniche guidano le formiche, che neanche una deficiente potrebbe sbagliare strada.



A meno che… succede, spesso, l’imprevisto: non parliamo dei cattivi incontri, ragni giganti o pattuglie nemiche di formiche rosse, ma dell’imponderabile. La strada a volte viene sbarrata da immense pareti che si pongono repentine ad ostacolare la meta, altre volte tornados di gas nervino spazzano il terreno, paralizzando senza pietà tutta la vita attorno. Ma la morte più temibile è quella che arriva dall’alto, inattesa: masse enormi si spiattellano sul terreno con la forza inimmaginabile di miliardi di nanogrammi, uccidendo decine di compagne in un sol colpo. In altre occasioni schiere di tronchi altissimi, fittissimi, avanzano veloci sul terreno, come mossi da un’unica forza, spostando, raspando, straziando tutto ciò che incontrano, e chi non muore subito viene sbalzato nell’aria, e ancora, e ancora, lontano, lontano, nel vuoto. Non si sa cosa governi questi fenomeni, né il loro scopo; gli accadimenti sembrano casuali, e non sono certamente correlati alla durata della vita di una formica. Le dimensioni di questi corpi assassini, poi… c’è chi suppone che siano milioni di volte più alti di una formica, miliardi di volte più grossi ed estesi… Resta il fatto che l’essenza della loro esistenza rimarrà un mistero per ‘HCOOH-3C’  formica operaia di terza classe, che può solo sperare di arrivare alla sua vecchiaia, senza che la sua vita sia spazzata via anzitempo dal destino.


La signorina Ester Bolenghin, padovana, stava facendo le pulizie di casa, cercando di mettere ordine nella sua testolina ancora scossa dalla brutta avventura vissuta durante l’ultima gita in montagna, su a Pian dei Rovi. Stava strofinando il piano di formica del tavolo di cucina, quando scorse dalla porta finestra del poggiolo dei grandi nuvoloni neri. Per non stravedere orchi e pescioni negli ammassi di vapore acqueo distolse veloce lo sguardo, che le cadde sul pavimento, accanto alla fioriera delle rose: pieno di formiche! Pioverà, disse fra sé.
Rimase indecisa un istante, tra il raid ammazzatutto e la scopa. Poi, senza esitazione, brandendo la scopa, menò due gran fendenti scompigliando le schiere di insetti che in ordinate schiere solcavano nere il pavimento, sollevandole nel vento, oltre la ringhiera, nel vuoto, affidate al loro destino…

La signorina Ester Bolenghin, padovana, in vacanza a Pian dei Rovi, si catapultò nel rifugio Cianghettini come una enorme palla di cristallo tremulo, centodieci chili di sudata apprensione espressa da due occhi vitrei che cercavano aiuto in quelli del vecchio gestore, al di là del bancone; questi pensò che la giornata era calda, il sole cocente, e i mughi fanno ombra solo alle lucertole.

La signorina Ester Bolenghin , trangugiando un grappino, ghiacciato, riferì balbettando di aver visto una testa mozzata, in un prato. Alle richieste di una descrizione più precisa, riferì di averla osservata solo di sfuggita, e l’immagine risultò paurosamente mossa.

 

Paurosamente. Mossa.

 

 

Hansel teneva per mano la sorellina Gretel, cercando di infonderle un po’ di coraggio, per farsi coraggio egli stesso, provando a tentoni di raccapezzarsi nell’intrico di tracce nell’erba per trovare la via del ritorno. All’improvviso, nel buio, la testa pelata e ghignante dello Gnomo Gnamo sbucò davanti a loro.

L’urlo terrorizzato echeggiò nella valle.

 

Ciò permise alle squadre del soccorso alpino che da ore effettuavano le ricerche nella zona, di localizzare i due bimbi dispersi, e di trasportarli al rifugio Cianghettini, dove interveniva l’elicottero del 118 Aiut Dolomites Trentino Emergenza, che provvedeva a trasportare i due all’ospedale di Innsbruck, dove attualmente sono trattenuti, in stato di shock e leggera ipotermia agli arti inferiori.

I genitori sono stati avvertiti.

 

 

Hansel teneva per mano la sorellina Gretel, cercando di infonderle un po’ di coraggio, per farsi coraggio egli stesso, provando a tentoni di raccapezzarsi nell’intrico di tracce nell’erba per trovare la via del ritorno. All’improvviso, nel buio, alla luce della luna, la testa pelata e dormiente dello Gnomo Gnamo sbucò davanti a loro. Gretel si portò una mano alla bocca.

Hansel scoppiò a ridere e disse a Gretel battendo le manine:

 

“Guarda, sembra zio Fester della famiglia Addams!..

 

 

There was an old man in a meadow

Whose life had passed like a shadow

 

Green was his eyebrow, on the face that was white like a bone

Sadly smiled the black mouth, ‘cause his body had gone

 

 

So he lied on the ground,

thinking on how loose was the bound

 

That poor old man’s head in the meadow

 

 

 

Il caposquadra Aurelio Bagolari appoggiò la fetta di mortadella che aveva appena staccato dalle altre sulla carta oleata, si asciugò le dita sulle braghe e avanzò a gran passi incontro all’ingegner Marco Roveri, giunto fin lassù a bordo del suo fuoristrada, seguendo il tracciato della vecchia mulattiera. L’ingegner Roveri era saltato a terra con agile balzo, guardandosi intorno, annusando l’aria. La giornata era stupenda. Non gliene fregava un cazzo; c’era puzza di gomma: frizione bruciata. Cinquantamila inutili euro. Guardò la Panda del Bagolari. Di terza mano. Neache 4×4. Mille euro. Profumava. Di mortadella.

 

Aprirono la grande carta topografica scala 1:3000 nella parte dedicata al passaggio della nuova strada che avrebbe collegato la valle al rifugio Cianghettini, su a quota 2875.

 

 

“… allora intesi, Aurelio, parti con la ruspa da quella roccia calcarea semisferica di circa cinquanta centimeti di diametro, e spiana, seguendo la pendenza per tutto il vallone, fino all……..”

Capita a volte di assistere, all’alba

a segreti conciliaboli, là sulle crode,

quando il silenzio è rotto dal fuscio dei corvi e dai fischi delle marmotte.

Sarà re Laurino che parla con la piccola principessa Dolasilla?

O con la Regina delle Marmotte?

O più semplicemente un vecchio e un bambino,

che si preser per mano….

La Memoria 2, la vendetta. Scusate ma devo provare a finire il ragionamento. Dai commenti ai precedenti post si capisce che non è un problema di quantità di memoria, ma di qualità; che non sempre indagare a fondo sulla/nella memoria fa bene; che siamo comunque paragonabili ad un HW moooolto complesso.


Sono d’accordo. Il nucleo del problema rimane comunque il solito: dove cavolo è finita la documentazione del progetto? Chi l’ha scritta, se mai è stata scritta? C’erano delle specifiche nella commessa? Chi ha commissionato il tutto?


Una volta ho sognato che avevo sviluppato un programma molto efficente, in grado di fare tutto quello che volevo che facesse; però a un certo punto, sul display apparve un faccione da positrone che mi disse: ma che c…o mi stai chiedendo di fare? E perchè? Naturalmente ho staccato la spina e mi sono svegliato in un bagno di sudore, ma quel faccione era stato tutto sommato fortunato, perchè aveva avuto qualcuno a cui fare la domanda…

Dunque la memoria. Mics in un commento mi ha suggerito un’immagine bellissima della memoria come lago, il lago di Erdemolo, del post di un mese fa. Lago dal livello incostante come la memoria, che tutto accoglie e poco (a poco) fa riaffiorare, in modo spesso inatteso.


 


La memoria, che tutto rende comprensibile e cosciente. Senza la memoria di ogni circostanza in ogni suo divenire, non si  avrebbe percezione degli accadimenti, e quindi coscienza del nostro essere, nel flusso del tempo. Al mondo i fatti  avvengono, intesi come mutazioni di uno stato in un altro, influnzato dal precedente. Ogni accadimento lascia una traccia di sé in quello successivo, viene in qualche modo registrato. Ma la memorizzazione in sé non avrebbe alcun senso senza la capacità i correlare queste tracce memorizzate. E qui cominciano i quesiti seri.


Per analogia: è stupefacente, ma sono state sviluppate macchine in grado di memorizzare informazioni, proprio come accade in natura, ma poi queste macchine sono state messe in grado di utilizzare le informazioni, proprio come facciamo noi esseri viventi. Un hard-disk con giga e giga di dati memorizzati è perfettamente inutile, senza un sistema operativo che li colleghi dando loro un significato compiuto.


E questo sistema operativo non può essere qualsiasi, deve essere proprio quello adatto, quello lì, l’unico. Ora, ogni sistema operativo è documentato, accessibile, decodificabile, duplicabile, e sopratturro il suo comportamento è prevedibile.


 


Per noi viventi, no. Abbiamo un sistema operativo di origine ignota, in gran parte autoreferenziante, ma non è sufficiente questo a spiegarne il nucleo, il kernel. È non documentato, induplicabile e imprevedibile. E non funziona senza memoria; quanta?


Bella domanda.

La Memoria. C’è chi dice che l’ultimo romanzo illustrato di Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana,  non susciti passioni, che sia solo un’enciclopedica esibizione di cultura nozionistica. Può darsi, Eco atterrisce chiunque non sia altrettanto mostruosamente full of consciousness. Eppure, dietro ogni riga, in agguato, c’è sempre una sensazione violenta, un deja-vu vero, reale, sicuramente non sospetto. Mi tornano man mano alla mente sensazioni tattili, odorose, saporose fortissime: niente di stupefacente, ma tutte da post-gustare: il tocco delle dita sulla carta blu semitrasparente con cui la maestra foderava i quaderni dei compiti in classe (è un caso fortuito che in questi giorni io abbia ri-incontrato dopo decenni le due sorrelle, ormai vecchiette, che gestivano la cartoleria profumata di inchiostro e matite di legno e carta di quaderni, all’angolo della piazza, dove entravo a comperare quaderni, matite e pennini?), odor di colla con cui fissavo sui disegni i lustrini dorati e argentati come ornamento ai disegni di natale, lustrini che adornavano i calendari dell’avvento contesi con mia sorella (apro io, oggi apro io, no io, no tu hai aperto ieri…), una ricotta assaggiata direttamente dalla carta oleata che un contadino aveva portato a mia nonna, in cucina, cent’anni fa, che non ho più potuto riassaggiare, e ancora, un sapore/odore misterioso, forte, afroroso, che alle volte mi torna alla testa, quasi fastidioso, penso sia il latte di madre, ma non ho mai potuto-voluto soffermarmi oltre a pensare/indagare…


Non è nostalgia, anzi, tendo a rifiutare il mio vissuto, a vedere il futuro, quel poco che avanza di cosciente e consapevole (6-7000 giorni? magari 8000, salvo imprevisti, naturalmente), come liberazione, miglioramento, novità catartica. Però sento che la memoria, il ricordare è importante , se vissuto consapevolmente. E’ importante riuscire a capire perché si ricorda, e come, e a che fine. E questo non è né poco, né chiaro, né assodato.


 

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